News | Nullità delle clausole che stabiliscono provvigioni inique nella mediazione immobiliare.
Nell’ambito della mediazione, la Corte di Cassazione II sez. civile con sent. n. 19565/2020 ha stabilito la presunzione di vessatorietà delle clausole contrattuali che attribuiscono al mediatore il diritto al compenso quandanche il venditore abbia esercitato il diritto di recesso ed il mediatore non abbia esercitato in modo alcuno la controprestazione nell’ambito della sua attività di mediazione.
Questi i principi di diritto elaborati dalla Suprema Corte nella summenzionata sentenza:
“La clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche in caso di recesso da parte del venditore può presumersi vessatoria quando il compenso non trova giustificazione nella prestazione svolta dal mediatore. E’ compito del giudice di merito valutare se una qualche attività sia stata svolta dal mediatore attraverso le attività propedeutiche e necessarie per la ricerca di soggetti interessati all’acquisto del bene”.
“Si presume vessatoria la clausola che consente al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere”.
Guardando al caso concreto sarà possibile individuare quali sono state le ragioni sottese alla decisione della Corte.
Il caso che ci occupa trae origine dall’incarico assegnato ad un mediatore – società immobiliare – da parte di due venditori, di vendere un immobile di loro proprietà.
Il contratto prevedeva il diritto di recesso dei committenti – venditori a fronte della corresponsione di una penale pari all’1% del valore della vendita dell’immobile. I committenti effettuavano il diritto di recesso anticipato adducendo quale motivazione l’incongruità del prezzo di vendita rispetto al valore dell’immobile. Con decreto ingiuntivo il mediatore pretendeva la corresponsione della penale, così come stabilito contrattualmente. Tuttavia, i committenti presentavano opposizione al decreto adducendo quale motivazione la natura vessatoria della clausola ed invocavano l’art.3 comma 1 del D.Lgs. n. 206/2005 evidenziando anche lo squilibrio contrattuale causato dalla clausola che prevedeva il pagamento di una penale quandanche il mediatore non avesse compiuto attività alcuna.
Il Giudice di Pace di Roma accoglieva l’opposizione al decreto ma la sentenza veniva impugnata ed accolta innanzi alla Corte d’Appello di Roma. I venditori proponevano ricorso in Cassazione adducendo la nullità della clausola ai sensi dell’art. 33 del Codice del Consumo.
Ed è la Corte di Cassazione a tracciare l’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione del Codice del Consumo anche alla luce della normativa europea: difatti, la Suprema Corte sottolinea il rango di norma imperativa e di ordine pubblico dell’art. 6 della Direttiva 93/13 e ne richiama la diretta applicazione qualora la presenza di clausole contrattuali comportino uno squilibrio a danno del consumatore.
Tale squilibrio, inoltre, dovrà essere valutato alla luce non già solo del valore economico delle singole prestazioni, ma anche con riferimento ai diritti ed obblighi del regolamento contrattuale.
La Corte ha previsto, inoltre, la possibilità per il mediatore di vincere la presunzione di vessatorietà: il professionista, infatti, potrà dare prova della trattativa sulla clausola dimostrando che non trattasi di previsione unilaterale, bensì vi è stata una trattava tra le parti in ordine all’inserimento della stessa all’interno del contratto.
La Corte, infine, evidenzia che il potere di controllo sulla natura vessatoria della clausola dovrà essere esercitato dal giudice di merito attraverso l’esercizio di un potere di controllo che sia finalizzato a verificare lo squilibrio o meno delle prestazioni del contratto del consumatore.
Di Elisabeth Fanizzi.